sabato 12 settembre 2020

GIANNA, LEI ERA MIA SORELLA - CARMEN SALIS

GIANNA, LEI ERA MIA SORELLA
Carmen Salis
AmicoLibro Editore







 "L'ho ammirata, invidiata, combattuta.
Poi, a un certo punto della mia vita, ho riconosciuto la sua tristezza e l'ho amata senza riserve.
Ho capito che quel dolore era paura di vivere.
Quei silenzi improvvisi e lunghissimi erano la sua lotta contro il buio.
E soprattutto ho capito che era inutile travolgerla con la mia voglia di vivere.
Non era egoista, era ostaggio della sua mente.
Non voleva morire, voleva solo smettere di avere una voce dentro la testa che la tormentava.
La gente diceva che era matta.
Ho visto chi l'ha derisa, allontanata, guardata con paura.
L'ho vista e la ricordo. E la rabbia che ho provato allora, oggi è commiserazione"


Si apre così, il libro di Carmen, prima di lasciar vivere di nuovo Gianna, sua sorella maggiore, tra le pagine.
Un percorso, quello di restituire al mondo la sua storia, ma anche di rielaborarla in sè, di certo necessario, per ritrovare il senso al di là del dolore di un'intera famiglia e sua sorella stessa.

Si entra nella fragilissima sfera della malattia mentale, quella a cui, oltre il dolore della condizione stessa, si aggiunge anche lo stigma sociale e l'essere spesso considerate come patologie di serie B. A volte - mi permetto di dire - anche pazienti di serie B.
Quando ti rompi una gamba, è palese e universale per tutti che stia male e abbia bisogno di cure e sostegno. Tutti si danno da fare. Quando invece hai un disturbo psichiatrico, il male è spesso invisibile e incompreso, e tutti (o quasi) ti scansano e ti giudicano, finendoti di affossare.

Ma ritorniamo a Gianna...

Gianna, creatura che amava il mare e ha conosciuto vari tipi di onde.
Gianna, dai lunghi capelli neri ondulati, che passava dai muti abissi della depressione alle altrettanto pericolose, e forse più sottovalutate e meno gestibili, luminose esaltazioni della mania.
Gianna, che sapeva essere fantastica coi bambini e i nipotini.
Gianna, che faceva delle meringhe che parevano regine.
Gianna, che a volte brillava troppo e si bruciava.
Gianna, che ha sofferto di disturbo bipolare.

È importante utilizzare il verbo avere quando si parla di disturbi mentali, e non essere, in quanto l'essenza della persona, va ben oltre alla patologia che la ingabbia e rende la ricerca di equilibrio, una vera e propria lotta.
Una lotta, per sé e per chi vi sta accanto, in cui quasi sempre nonostante tutta la buona volontà, ci si trova spesso soli e impotenti.

Ma Gianna, oltre ad avere un disturbo bipolare, oltre ai deliri e le psicosi, era tanto altro. E questo è giusto che rimanga, dopo tutta la sua sofferenza.

Carmen riesce a raccontarcelo, con lo sguardo di chi riavvolge il nastro e ripercorre la storia a ritroso.
Ripercorrere, per comprendere e tenere le cose più importanti.
Ripercorrere, per liberare e restituire dignità e identità a una sorella "ostaggio della sua stessa mente".
Perché, dopo tutte le distorsioni, le incomprensioni, le difficoltà... 
dopo essersi dati anima e corpo, per impedire che quel fragile cristallo esplodesse, e magari essersi pure incolpati di non aver fatto abbastanza, 
dopo aver visto una propria parte schiantarsi, segnando i propri cari oltre che noi stessi, cosa rimane?

Rimane fermarsi, per poi riguardare le cose a ritroso. 
Accogliere le lezioni che rimangono alla fine, quando la frustrazione per quello che avremmo voluto essere diverso, ci vorrebbe continuare a trascinare in un vortice di dolore.

E invece no.

Carmen è riuscita a prendere quel dolore in mano e donarcelo, con grande coraggio e generosità. Per guarire.
La scrittura in questo caso si è fatta cura per l'anima, via di preziosa consapevolezza, e si farà specchio per chi leggendo vi riconoscerà qualcuno o qualcosa a sé vicino.
 
*****
Ho letto Gianna per tre volte, e ogni volta ho ringraziato.
L'ultima l'ho portata con me, in questi giorni in cui il tempo muta repentinamente, tra forte sole e forti temporali improvvisi.
L'ho voluta portare al mare, quel mare che tanto spesso viene citato nel libro.
E leggendo di lei, ho ripensato ad alcune strofe de "GLI ECHI SILENTI", versi che scrissi vari anni fa sulla malattia mentale.
Vecchi versi sono riemersi, e nuovi mi hanno sfiorato. 
Ho voluto ringraziare Gianna e Carmen, unendo il passato al presente, come un qualcosa che continua a dialogare, oltre il tempo.

                                                              *****
(da GLI ECHI SILENTI, 2014)
In quelle teste svuotate
dalla sofferenza
potevi sentirci 
l'eco del mare,
come in una conchiglia.

Più volte battè l'onda
portando via con sè
un morso di riva.
Non ebbero più terraferma
ritrovandosi alla deriva.

Tu dici:
- Riportiamoli alla realtà,
lanciamoli una cima!

Strattonati,
si sgretolerebbero,
più fragili di prima.

(A Gianna e Carmen, FIORI DAL SALE)

Qualora quei rumori
tornassero dai rombi
del mare d'autunno, 
in cui il sole e le nubi
s'alternano come gli umori,

o i bruni ricci di posidonia
in turbìne di vento
volessero velar di rimorsi
il ricordo dei miei,
tu non ascoltarli.

Non appartengo
più ai gusci vuoti 
di conchiglia.

Io ora appartengo
alla tenue bellezza dell'alba,
respiro nello scintillio
del riverbero.

Io ora brillo,
senza più bruciare.

Qualora tornassero
quei sussurri,
tu non li ascoltare.

Io sono
come il bianco pancrazio:

è l'amore
ad avermi fatto fiorire
dal sale.

(Eleonora Capomastro, Settembre 2020)

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