L'ESTETICA DELLE PIEGHE
(racconto breve)
NORA CAPOMASTRO
(La meravigliosa Kaoru Kobayashi, durante una sua esibizione al Festival della Cultura Giapponese by Events Planning, 11 Settembre 2016)
“Quando il dolore attanaglia l’uomo e lo àncora alla sua fragile condizione, quest’ultimo non riesce a sentire che questo. Si può soccombere o, con fiducia, considerare il tutto come parte di un disegno in eterno divenire: troppo grande per i nostri limitati sensi umani, comprensibile solo non opponendo resistenza al suo fluire e divenendo parte di esso.”
La mano della fortuna è cieca e non fa distinzione nemmeno tra i più innocenti. Non era stata di certo clemente neanche con la piccola Ishiki che, improvvisamente, si ritrovò orfana a seguito di un tifone che spazzò via il suo villaggio.
Furono giorni di pianto, in cui si scavarono profonde crepe che segnarono il suo animo. Gli abitanti del paese più a monte corsero in aiuto dei loro vicini e il caso decise che a prendersi cura di lei sarebbero stati i coniugi Shinkō, anziani mastri cartai.
Il loro laboratorio si trovava a pochi passi dal centro abitato, tra i gelsi kozo. Adattarsi a quella nuova situazione fu molto difficile.
Si sentiva riempita d’amore, ma vi era sempre qualche pensiero che la trascinava come un peso, non permettendole di godere del dono del presente.
La saggia Hikaru le stava vicino senza invadenza, leggendo i suoi pensieri come se potessero parlare. Il suo cuore era incupito dalla preoccupazione per quell’anima in crescita, ma più forte era la fede.
Ishiki passava il suo tempo tra la scuola e l’aiutare nelle faccende domestiche. Più volte sbirciava dietro le tende, mentre il vecchio Zen pressava i fogli aiutato dalla moglie.
La cura nel loro mestiere rispecchiava quella che avevano per gli altri. Si perdeva per ore intere, tra i colori delle carte disposte a essiccare, desiderando di averne una tutta per sé.
Giunse il giorno del suo decimo compleanno.
Di ritorno dal villaggio, ad attenderla trovò un bellissimo foglio di carta: era poco più grande di un fazzoletto, di un blu mai visto e con delle filature dorate. Sembrava un cielo stellato.
Abbracciò con gratitudine i due vecchi, che sorrisero bonariamente per esser riusciti a nascondere la piccola sorpresa in serbo per lei.
Quella gioia così spontanea fu altrettanto fugace: di nuovo l’immagine della perdita dei suoi cari, di nuovo l’abisso che mai si colma.
Certi vuoti che il passato lascia assomigliano a gorghi che tutto risucchiano, perfino gli attimi belli del presente.
Gli anziani Shinkō sapevano che questo avrebbe richiesto molto tempo e amore.
Cenarono in silenzio.
La compostezza dei gesti talora argina più che la parola.
L’indomani la piccola mise il foglio tra i quaderni di scuola. Voleva orgogliosamente mostrarlo ai suoi compagni e uscì di casa in fretta, senza rendersi conto che di lì a poco sarebbe piovuto.
Al ritorno corse più velocemente che poté ma, una volta arrivata, pianse nel vedere quel regalo prezioso rovinato dall’acqua. Non disse nulla a nessuno, nemmeno a cena, sentendosi in colpa per aver peccato di vanità.
Così la notte, mentre tutti dormivano, lo stese vicino al camino, sperando che asciugasse presto per non essere scoperta.
Passata qualche ora, Hikaru si alzò e si diresse verso il focolare. Ishiki singhiozzava in lacrime. Aveva messo la carta troppo vicino al fuoco e alcune scintille l’avevano bruciacchiata e bucherellata in varie parti.
Abituata a capire senza troppe spiegazioni, la vecchia le asciugò il viso e prendendola per mano raccolse il foglio.
Si spostarono nella sala che dava a est e lì sedettero a lungo, in silenzio, per il tempo necessario.
La mano della fortuna è cieca e non fa distinzione nemmeno tra i più innocenti. Non era stata di certo clemente neanche con la piccola Ishiki che, improvvisamente, si ritrovò orfana a seguito di un tifone che spazzò via il suo villaggio.
Furono giorni di pianto, in cui si scavarono profonde crepe che segnarono il suo animo. Gli abitanti del paese più a monte corsero in aiuto dei loro vicini e il caso decise che a prendersi cura di lei sarebbero stati i coniugi Shinkō, anziani mastri cartai.
Il loro laboratorio si trovava a pochi passi dal centro abitato, tra i gelsi kozo. Adattarsi a quella nuova situazione fu molto difficile.
Si sentiva riempita d’amore, ma vi era sempre qualche pensiero che la trascinava come un peso, non permettendole di godere del dono del presente.
La saggia Hikaru le stava vicino senza invadenza, leggendo i suoi pensieri come se potessero parlare. Il suo cuore era incupito dalla preoccupazione per quell’anima in crescita, ma più forte era la fede.
Ishiki passava il suo tempo tra la scuola e l’aiutare nelle faccende domestiche. Più volte sbirciava dietro le tende, mentre il vecchio Zen pressava i fogli aiutato dalla moglie.
La cura nel loro mestiere rispecchiava quella che avevano per gli altri. Si perdeva per ore intere, tra i colori delle carte disposte a essiccare, desiderando di averne una tutta per sé.
Giunse il giorno del suo decimo compleanno.
Di ritorno dal villaggio, ad attenderla trovò un bellissimo foglio di carta: era poco più grande di un fazzoletto, di un blu mai visto e con delle filature dorate. Sembrava un cielo stellato.
Abbracciò con gratitudine i due vecchi, che sorrisero bonariamente per esser riusciti a nascondere la piccola sorpresa in serbo per lei.
Quella gioia così spontanea fu altrettanto fugace: di nuovo l’immagine della perdita dei suoi cari, di nuovo l’abisso che mai si colma.
Certi vuoti che il passato lascia assomigliano a gorghi che tutto risucchiano, perfino gli attimi belli del presente.
Gli anziani Shinkō sapevano che questo avrebbe richiesto molto tempo e amore.
Cenarono in silenzio.
La compostezza dei gesti talora argina più che la parola.
L’indomani la piccola mise il foglio tra i quaderni di scuola. Voleva orgogliosamente mostrarlo ai suoi compagni e uscì di casa in fretta, senza rendersi conto che di lì a poco sarebbe piovuto.
Al ritorno corse più velocemente che poté ma, una volta arrivata, pianse nel vedere quel regalo prezioso rovinato dall’acqua. Non disse nulla a nessuno, nemmeno a cena, sentendosi in colpa per aver peccato di vanità.
Così la notte, mentre tutti dormivano, lo stese vicino al camino, sperando che asciugasse presto per non essere scoperta.
Passata qualche ora, Hikaru si alzò e si diresse verso il focolare. Ishiki singhiozzava in lacrime. Aveva messo la carta troppo vicino al fuoco e alcune scintille l’avevano bruciacchiata e bucherellata in varie parti.
Abituata a capire senza troppe spiegazioni, la vecchia le asciugò il viso e prendendola per mano raccolse il foglio.
Si spostarono nella sala che dava a est e lì sedettero a lungo, in silenzio, per il tempo necessario.
L’anziana guardò maternamente la bambina e con delicatezza rara, quasi sfiorasse un’anima, iniziò a piegare il foglio malconcio. «Vedi, bambina mia: in origine siamo fogli lisci, perfetti, senza neanche una sgualcitura. Poi veniamo piegati, aperti, chiusi, ribaltati. Ci riempiamo di solchi senza neanche sapere bene perché. Ogni piega cambia il nostro aspetto, lo plasma».
Prese un attimo fiato, fermando le mani e osservando le pieghe.
«Non sempre è facile intravedere il risultato finale. Alcuni passaggi lo faranno sembrare vicino, come già davanti ai tuoi occhi. Poi, a un tratto, quel che penserai sia giusto per te verrà stravolto e cambierà direzione, perché non è quello il tuo arrivo definitivo, non lo è mai. Passaggi in cui troppe pieghe renderanno tutto complicato e confuso e sarà necessario fermarsi. E tu ti ritroverai a dover prendere di nuovo confidenza con la carta. A dover di nuovo capire e imparare, a non opporre resistenza a questo, altrimenti ti strapperai. Ogni piega, ogni cambiamento, è necessario e modella quel che sarà una forma nuova. Ci vuole tempo, fatica e pazienza, ma poi…»
Prese un attimo fiato, fermando le mani e osservando le pieghe.
«Non sempre è facile intravedere il risultato finale. Alcuni passaggi lo faranno sembrare vicino, come già davanti ai tuoi occhi. Poi, a un tratto, quel che penserai sia giusto per te verrà stravolto e cambierà direzione, perché non è quello il tuo arrivo definitivo, non lo è mai. Passaggi in cui troppe pieghe renderanno tutto complicato e confuso e sarà necessario fermarsi. E tu ti ritroverai a dover prendere di nuovo confidenza con la carta. A dover di nuovo capire e imparare, a non opporre resistenza a questo, altrimenti ti strapperai. Ogni piega, ogni cambiamento, è necessario e modella quel che sarà una forma nuova. Ci vuole tempo, fatica e pazienza, ma poi…»
Le sue parole si sospesero in un sorriso eloquente, mentre porgeva una piccola gru alla bambina.
«Ma poi… la meraviglia.» Completò Ishiki.
Era la prima volta che assisteva alla nascita di un origami. Mai avrebbe detto che dal suo foglio così rovinato potesse scaturire ancora bellezza.
Era la prima volta che assisteva alla nascita di un origami. Mai avrebbe detto che dal suo foglio così rovinato potesse scaturire ancora bellezza.
Ormai era l’alba: la luce giocò tra i piccoli fori della carta, pareva un ricamo.
(Nora Capomastro - 2018)
**********************
Il presente racconto mi è molto caro, in quanto segna l'inizio di una riapertura verso il mondo esterno tramite la condivisione di una mia piccola creatura (cosa non sempre semplice per me).
Nell'aprile del 2018, riceve una menzione al concorso Noi e gli altri - CIF di Sestu, con la seguente e sentita motivazione:
***La sofferenza di una bimba per la tragica perdita dei genitori, l’amore di due anziani, gesti preziosi di generosa e muta comprensione.
Racconto tenero e profumato di ciliegi e mandorli in fiore, abilmente strutturato come una fiaba zen, che svela con dolcezza alcune verità fondamentali: il silenzio, la pazienza, la riflessione, la capacità di adattarsi al continuo evolversi della vita. L’accettazione stessa del dolore.
La piccola protagonista è come un foglio di carta, bianco e puro, piegata da un grande dolore, che con pazienza imparerà a resistere agli urti della vita e a trasformare gli strappi in un ricamo, in una visione più ampia che può diventare meraviglia: “Ormai era l’alba: la luce giocò tra i piccoli fori della carta, pareva un ricamo”.***
Link articolo - MEDITERRANEAONLINE.EU
(Nora Capomastro - 2018)
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Il presente racconto mi è molto caro, in quanto segna l'inizio di una riapertura verso il mondo esterno tramite la condivisione di una mia piccola creatura (cosa non sempre semplice per me).
Nell'aprile del 2018, riceve una menzione al concorso Noi e gli altri - CIF di Sestu, con la seguente e sentita motivazione:
***La sofferenza di una bimba per la tragica perdita dei genitori, l’amore di due anziani, gesti preziosi di generosa e muta comprensione.
Racconto tenero e profumato di ciliegi e mandorli in fiore, abilmente strutturato come una fiaba zen, che svela con dolcezza alcune verità fondamentali: il silenzio, la pazienza, la riflessione, la capacità di adattarsi al continuo evolversi della vita. L’accettazione stessa del dolore.
La piccola protagonista è come un foglio di carta, bianco e puro, piegata da un grande dolore, che con pazienza imparerà a resistere agli urti della vita e a trasformare gli strappi in un ricamo, in una visione più ampia che può diventare meraviglia: “Ormai era l’alba: la luce giocò tra i piccoli fori della carta, pareva un ricamo”.***
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