GIOVANNA FALLI: STORIA, SCELTE E IMPEGNO MORALE E CIVILE DI UNA DONNA CHE NON SI È ARRESA AI SOPRUSI




La scoperta della storia di Giovanna Falli è avvenuta quasi per caso e merita di essere raccontata, al pari del vissuto di sofferenza, lotta e riscatto contenuto in “Vite in vendita”, autobiografia curata dal figlio Marco Cinque: una testimonianza che all’interno contiene tante altre storie e verità, degna di essere letta, conosciuta, discussa, divulgata e non dimenticata.

Ho avuto la fortuna di imbattermi nella persona di Marco Cinque in uno degli incontri poetici, a cui, di tanto in tanto, negli anni, ho preso parte e da cui in più occasioni mi son ritrovata ad allontanarmi, quando la Poesia veniva strumentalizzata o macchiata dall’ego e da altri interessi.
È anche vero che, se ogni volta stessi nel bosco, mi perderei alcuni incontri inestimabili, per cui di tanto in tanto vale la pena camminare tra le ipocrisie e contraddizioni che, ahimè, non mancano anche nel mondo della “poesia”.
Prima di parlare di “Vite in vendita”, voglio sottolineare come negli incontri avuti, Marco non abbia mai acceso i riflettori su di sé, ma abbia dato spazio al messaggio contenuto nei suoi versi o le sue storie, che spesso raccolgono le voci di chi non può avere più voce. Ecco perché, imbattermi nella storia della mamma Giovanna e della sua famiglia di origine, senza averlo mai sentito fare grandi proclami, né averlo visto strumentalizzare il suo dono, conferma la grande stima che ho di lui.
Leggere certi passaggi della vita di sua madre, in cui si affacciano anche spaccati della sua infanzia, non fa altro che confermare il sentirlo fratello sensibile, ma anche forte e coraggioso, che ha saputo fare della sofferenza una forza e una lotta, per i più deboli. D’altronde, con una mamma così, non poteva essere altrimenti.
Un lavoro che certamente ha dato voce a Giovanna e che, guardando oltre, ha saputo chiudere e guarire tante ferite familiari generazionali, nonché potrà essere d'ispirazione a tanti altri.

Nascere nel 1940, in piena seconda guerra mondiale, in un periodo “sconclusionato e di incertezze” che vede Giovanna crescere in balìa di tante vicende e, per usare un eufemismo, disfunzionalità familiari, da cui verrà segnata fortemente e a cui solo negli anni riuscirà a dare un nome.
Il ricordo dei fatti subiti emerge vivido, così come il dialogo con la sua dimensione bambina, in un certo qual modo, consapevole dei soprusi e degli abusi, ma ancora impotente per imporsi e prendere in mano la propria vita, emancipandosi dalle follie e dallo schifo conosciuti.

Un mondo di adulti spesso allo sbando – salvo rarissime figure che saranno per lei fondamentali - che incuranti della sua dimensione interiore, calpestano la sua persona, sia fisicamente che psicologicamente.
Un mondo in cui viene le parole “rispetto” e “dovere” sono spesso qualcosa da pretendere e mai qualcosa da dare.
Sappiamo come, spesso, certi atteggiamenti disfunzionali servano a non guardare in faccia i propri mostri, le proprie pecche, mancanze, orrori, follie, ma quando ci si nasce e cresce dentro, la conquista della propria libertà è un traguardo che si guadagna con estrema sofferenza e fatica, anzi, il guadagnare la propria libertà ed emancipazione, spaventa gli altri – obbligati a metter in discussione sé stessi – ed è osteggiato nei modi più subdoli e beceri.
In questi contesti l’emancipazione richiede tempo e molta forza e non è scevra da tutto un insieme di cicatrici che in altre situazioni ci si potrebbe risparmiare.
Eppure, quel che emerge da tutto il dolore narrato, è l’aver imparato  a non lasciarsi contaminare dall’odio, aver scelto di essere qualcuno di diverso.
Giovanna la bastarda, la figlia del peccato, Giovanna che vive lo schifo dello stupro da parte di chi si affiancava a sua madre. Giovanna, vittima dei tabù del non detto.
Giovanna che non si piega, ribelle, guardinga, Giovanna che si chiede se sia lei a sbagliare o se siano gli altri.
Giovanna che guarda le sue coetanee giocare e desidera null’altro che il diritto di vivere la sua età spensieratamente, così come vede dalle altre bambine e ragazzine.
Giovanna, intrappolata nel circolo vizioso di chi la tiene legata per i propri interessi, minandone la libertà di scelta e sabotandone l’autonomia, in maniera da creare dipendenza per il proprio tornaconto.

Quando questo meccanismo è posto sistematicamente in atto nell’ambito familiare, le conseguenze sono devastanti, e si vive in funzione del volere degli altri.
Un passo che mi ha molto colpito è quello delle nozze, appena adolescente:

"Mia madre sentenziò “Tu non conti nulla. Facciamo questo solo per il tuo bene”.
Io non capivo affatto cosa c’entrasse “il mio bene” con lo sposarmi.
Quel periodo vissi totalmente pilotata dagli altri. Avevano deciso il mio futuro per me."

Vivere pilotata dagli altri: una frase che mi ha colpito molto, e che riesce a dare il nome a un qualcosa che molti inconsapevolmente vivono.
Giovanna ci farà entrare tra le mura degli orfanotrofi, che vivrà prima da bambina e in cui ritornerà una volta madre, quando si ritroverà a lottare per i figli sottratti impunemente.
Ci racconterà la realtà del manicomio, il vicolo cieco della disperazione e dell’impotenza che la porterà a tentare il suicidio, ma anche la rinascita dalle proprie ceneri e il lottare per salvare se stessa e i propri figli.
Sarà proprio tutta questa sofferenza, in un primo momento fragilità, a diventare la sua forza inestinguibile e alimentare il fuoco della lotta, che non limiterà solo a se stessa e ai propri figli, ma saprà estendere nel porgere una mano concreta agli ultimi e dar loro voce.

Oltre le vicende personali, prezioso è il ritratto della realtà delle periferie, nelle loro contraddizioni, disparità e ingiustizie, in un’Italia in cui le classi sociali viaggiano spesso su rette parallele, senza incontrarsi.
Dalla cupezza del periodo della guerra, ai primi brulichii del periodo postbellico, in cui il divario sociale era ancora più evidente, al fervore dei movimenti politici collettivi dei primissimi anni ’70.

Sarà “Giovanna di San Basilio” a mettersi in gioco col proprio vissuto, voce e portavoce di chi ha sperimentato difficoltà e disagi simili ai suoi. Un’esigenza che la porterà a contatto con persone animate dagli stessi ideali e in un ambiente in cui non potrà che crescere e mettere a disposizione la sua sensibilità: quello che la vedrà parte attiva del collettivo del Manifesto, di cui diventerà storica centralinista, la voce che per tanti anni risponderà
“Pronto, Manifesto?”

“Questo lavoro mi dava l’opportunità di conoscere moltissime persone, dai corrispondenti ai semplici lettori […] Così, di tanto in tanto, mi capitava di ospitare in casa una buona parte dell’umanità che orbitava dentro e attorno al Manifesto […] lasciare le porte aperte, dal punto di vista umano mi ha portato più ricchezza che povertà.”

Non mancano gli aneddoti di quegli anni, in cui Giovanna ci restituisce istantanee scattate dalla primissima linea:

“Luigi Pintor, con Rossana Rossanda e Valentino Parlato, assieme a Luciana Castellina, Lucio Magri, Aldo Natoli ed Eliseo Milani, erano persone incredibili, l’anima del giornale e di certo mi regalarono la preziosa opportunità di crescere e coltivare nuove speranze.”

E ancora...

“Poi ricordo i capi-redattori Luca Trevisani e Michele Melillo, che erano al spina dorsale del giornale e i giovani corrispondenti, che arrivavano da ogni parte d’Italia: Gad Lerner e Carla Casalini, con la sua figlioletta che i primi tempi ospitavo a casa mia.[…]Insomma tantissime persone, compagni e compagne, che hanno contribuito alla crescita del Manifesto.”

Poco meno di 100 pagine in cui senza fronzoli si condensa tutto l’essenziale, in un linguaggio semplice e vicino, che coinvolge e ci catapulta nel racconto, come se vedessimo e ascoltassimo in presa diretta.

Dopo questa lettura non viene che da desiderare ancora di più di abbracciare e ringraziare Giovanna, Marco e la famiglia tutta, sia per la loro storia che per la scelta di condividerla, che per il concreto impegno civile, fatto di poca pubblicità e concretezza di sguardi e mani fraterne.

Ancora un grazie, per come queste parole sanno accarezzare chi conosce questi soprusi e potrà trovare tra esse un nome e una mano per rialzarsi e lottare, nonostante il buio.

 
“Ho sbagliato e continuerò a farlo, perché preferisco stare dalla parte del torto se le mie ragioni feriscono, discriminano o deprivano qualcuno.”



Nora Capomastro

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