<< Sono dei fiori di carota selvatica, amore mio bello! È pieno in questo periodo!>>
<< Oh… fiori di pisso! >> sorrise, toccandoli con una mano, mentre con l’altra toccava l’ombrellino, quasi a paragonarne mentalmente la forma.
Per l’immensa gioia della bambina, e con la complicità della mamma, il babbo li raccolse delicatamente tutti insieme, a mo’ di mazzolino, mettendoli in un lungo misurino per l’olio ormai inutilizzato, in bella mostra sul caminetto.
<< Così babbo mi pensa sempre! >> sorrise lei, immaginandoli.
Le pecore furono tosate, i granai si riempirono, le scorte di fieno vennero ripristinate e, sullo strascico della calda estate, si fecero avanti i primi veli della bruma.
<< Teresina, vieni qui! Ci hai fatto spaventare! Non è ora di andare in giro così presto, vuoi ammalarti? >> La rimproverò il babbo, sinceramente spaventato (e in cuor suo dispiaciuto per aver ingrossato la voce) mentre con una mano sulla spalla la indirizzava verso casa.
Ormai era quasi cieca e pensavano distinguesse a malapena la luce dal buio; eppure in quegli occhietti rubini, in una qualche maniera, continuavano a guizzare meraviglie.
Man mano che la sua vista si spegneva, le preoccupazioni di Rosa e Libòriu andavano a riaccendersi: il lavoro e i pensieri erano tanti - presto avrebbero dovuto pensare alle arature, al legname, poi alle olive - ma solo uno era in grado di pesare realmente sui loro cuori.
<< Ma che hai nei capelli? Dove caspita ti sei infilata, Menduledda? >> fece, liberandoli da un nugolo di ragnatele umide.
<< Hai visto babbo, è la mia corona! Me l’ha regalata lui! Che bella che è! >> esultò portandosi le mani sulla testolina di candida ovatta.
Questa volta però il babbo si accigliò silenziosamente intimamente turbato e, rientrati in casa, sentì il bisogno di prestarle ancora più attenzione, come se la nebbia che avvolgeva sempre più la vista della sua amata bambina, iniziasse a calare anche sui suoi pensieri.
“ Eppure, Mandorlina, come sorridi sempre leggera! ” sospirò in sé.
Tutte le incombenze furono rimandate; presto, infatti, avrebbe dovuto organizzare e istruire gli uomini per procurare legname che gli avevano richiesto in città. Ritardare di una settimana, in fondo, non avrebbe influito più di tanto.
Piovve per giorni interi, tanto che la stragrande maggioranza delle mansioni nei terreni fu a sua volta rimandata.
Vicino al focolare, la bambina a modo suo raccontava di come quella mattina avesse incontrato un cervo. Forse era lui il principe dalla corona di rami di cui parlava sempre?
<< Ma una corona di rami di corna? >> la interruppe il babbo.
<< E certo babbo! >> rispose lei, come se fosse sempre stato ovvio. << Me l’ha regalata lui la corona d’argento e perle! L’hanno fatta i ragni, perché sono amici! Capito? >>
E così descrisse di averlo visto con questo bellissimo gioiello che i ragni avevano preparato per lei, tessendolo tra le sue corna e impreziosendolo di gocce di rugiada, per quello era uscita all’alba.
<< Altrimenti si asciugavano babbo, CAPITO?! >> Puntualizzò a mo’ di rimprovero.
Il principe l’aveva salutata e le aveva fatto un inchino, lasciando che quel prezioso regalo di fili di seta argentata si posasse sulla sua chioma di luna.
Libòriu l’ascoltava cercando di seguirne il senso e dispiaciuto al pensiero di dover toccare quel bosco – con i soldi di quella commissione avrebbe però potuto portarla in continente, dove gli avevano indicato un illustre luminare che prometteva di restituirle la vista! – pensava che forse sarebbe stato meglio tenerglielo nascosto. Ma come?
Dopo tutto questo susseguirsi di visioni e racconti fantasiosi, la bambina cadde addormentata “ continuando il suo sogno ” pensò il babbo, mentre il viso ne tradiva una forte stanchezza.
<< Pensi che sia proprio necessario? >> gli chiese Rosa, stringendolo a sé e facendo propri i suoi dolorosi nodi. << Tu sai che nulla di questo mondo potrà restituirle la vista. E poi…guardala! Per lei nulla di tutto questo pare avere peso, guardala come è sempre contenta e libera! Forse dovremmo semplicemente accettare e godere dei doni preziosi che ogni giorno ci concede, senza preoccuparci troppo. >>
Libòriu la strinse forte, sentendo in lei ragione, ma ancor non si dava pace, incapace di fermarsi, annodato nell’inseguir impossibili e false speranze che lo ingannavano nutrendosi del suo cuore, sempre più ardente di disperazione.

Passò circa una settimana; Teresina, col suo inseparabile ombrellino di pizzo, stava a cavalcioni sul muretto, assorta ad ascoltare gli uccellini, mentre gli uomini andavano e tornavano dal bosco, controllata a distanza dalla madre che filava a qualche decina di metri, sotto il sambuco ormai sfiorito.
Ma i suoi amici cantavano in un modo diverso oggi… e giurò di averne sentito uno piangere come un bambino.
Approfittando di un colpo di sonno della mamma, si allontanò per inseguirlo.
Era una ghiandaia dalle piume azzurrate, di cui riuscì a intravedere ancora il meraviglioso colore, nella quasi totale nebbia che ormai appannava totalmente i suoi fragili occhi umani.
La ghiandaia, il cervo, i ragni, i passerotti, gli usignoli, insomma, tutti i suoi piccoli amici, piangevano, quando iniziò a sentire la voce degli altri uomini.
<< Teresina, che ci fai qui? >> disse uno di loro avvicinandosi, pensando si fosse persa. La bambina si irrigidì sofferente, senza che ci fosse modo di consolarla o comunicarvi.
<<Dai che ti porto da mamma, che dobbiamo preparare per lavorare con babbo!>>
Sentì un male che non aveva mai provato prima e iniziò a piangere forte, fortissimo, come se qualcosa l’avesse ferita e trapassata profondamente.
<< Il bosco no! IL BOSCO NO! >> gridò con tutto il dolore e le lacrime che aveva in corpo; e la sua voce, come un’onda invisibile, parve passare attraverso ogni tronco, animale e persona che le era vicino.
Gli uomini, spaventati, lasciarono cadere gli attrezzi e corsero a chiamare il padrone ma, al loro ritorno, di Teresina neanche l’ombra.
Calò la notte e si accesero le fiaccole. Nel bosco il nome della bambina riecheggiava; l’unico rumore che si sentiva era il crepitar delle foglie e dei rami, che si spezzavano sotto i passi, e l’unica risposta che ricevevano era il sinistro stridìo di una grande strìa, che nei loro cuori risuonava come un rimprovero per aver varcato i confini di un regno in cui gli uomini non erano di casa.
Lo sconforto si impossessò del cuore di Libòriu, mentre le parole di Rosa gli rimbombavano come pesanti martellate nel petto. Che stupido che era stato, non se lo sarebbe mai perdonato!
Tra i rami inseguiva ombre di cervi, spettri dei suoi sensi di colpa, ma della sua Mandorlina nulla… e crollò in un sonno senza sogni.